Se mi fossi ascoltata qualche mese fa richiedere un appuntamento di lavoro con incontro “in presenza”, avrei pensato di essere completamente ammattita. Oggi invece è solo una delle ipotesi contemplabili. E non certo la più gettonata. Sì, perché adesso ci si incontra per lo più “in assenza”, tramite la piattaforma di videocall preferita (e io che non ho scelto la mia, ho già scaricato una decina di app), ciascuno comodamente dalla propria scrivania e che sia a casa o in ufficio nessuno più ci fa caso. Anche questo è cambiato: ora lavorare da casa è normale e soprattutto sicuro, ma fino a pochissimo tempo fa era avanguardia pura. In quattro mesi abbiamo completamente stravolto le nostre abitudini.

Tutto sommato, in questa nuova situazione ci sono moltissimi vantaggi per tutti e spero che molte di queste cose restino: meno spostamenti, meno costi, più praticità insomma. Ma non stiamo rischiando di perdere anche qualcosa? Quello che noto è che inizia un po’ a venire meno l’umanità dei rapporti, la naturale empatia tra persone, una stretta di mano, uno sguardo di intesa con i colleghi, un caffè. In videochiamata, attraverso il filtro di uno schermo, è senz’altro più comodo, ma non è certo la stessa cosa. Però, per parlare con le parole dei giornalisti, questa è “la nuova normalità”. Non so voi, ma io non vedo l’ora di tornare alla vecchia normalità. Perché sono sicura che prima o poi ci torneremo, a dispetto di quel che i catastrofisti scrivono.

Nel frattempo, mi adeguo e mi connetto all’ennesima piattaforma, ogni volta diversa, per fare il punto sul brief settimanale. E quando, come oggi, mi trovo a chiedere un incontro di persona, mi sento quasi a disagio, pensando che la mia richiesta possa apparire un po’ obsoleta e forse anche piuttosto trasgressiva. A voi sembra normale?