Si parla di rebranding quando un’azienda, anche consolidata o addirittura storica, scorge l’opportunità – o si trova nella necessità – di rivedere, rinverdire o modificare la propria brand identity. Il rebranding deve essere un cambiamento strategico, che può andare da un semplice “ammodernamento” del logo fino a una completa riformulazione di immagine e posizionamento. In ogni caso si tratta di un’operazione da studiare accuratamente: la brand identity è infatti un importante asset, che influisce in modo significativo sul successo di mercato.

Perché fare rebranding?

I motivi che possono condurre a un rebranding vengono distinti in due macrocategorie:

  • l’azienda ritiene utile il cambiamento per accompagnare la crescita, per approdare a nuovi mercati, per rinnovare il legame con il target di riferimento (rebranding proattivo);
  • il cambiamento è richiesto da un evento (una fusione, una crisi) o come risposta a innovazioni introdotte dai competitor (rebranding reattivo).

Un esempio di rebranding proattivo è quello che ha raccolto le piattaforme di Zuckeberg sotto il marchio Meta: un nuovo nome e un nuovo logo, che rimandano al metaverso, su cui il gruppo sta investendo. UnipolSai è invece l’esito di un rebranding reattivo, utilizzato per comunicare la fusione di Fondiaria-Sai e di Unipol Assicurazioni. 

Come fare rebranding?

Prima di porre mano a un’attività di rebranding deve esserne attentamente valutata l’opportunità. Per questo i primi passi devono essere:

  • definire il motivo del cambiamento;
  • chiarire i vantaggi che si desidera ottenere;
  • impostare un efficace piano di comunicazione a sostegno del rebranding.

Una volta stabiliti questi basilari elementi di strategia, occorre decidere l’entità del rebranding. Si può, infatti, optare per un rebranding totale o parziale. Nel primo caso le modifiche riguarderanno tutti gli elementi della brand identity (naming, logo, tone of voice…); nel secondo i cambiamenti toccheranno solo alcuni di questi elementi. Infine, le innovazioni possono comunque rimanere in linea con lo stile, l’essenza storica del brand (rebranding conservativo), o staccarsi completamente dalle caratteristiche fondamentali che lo avevano fino ad allora distinto (rebranding rivoluzionario). Inutile ripetere che ognuna di queste opzioni deve essere sostenuta da un’analisi e da una strategia accuratamente sviluppata.

Come comunicare il rebranding?

Questo è forse il passaggio più delicato di un’operazione di rebranding: la comunicazione del cambiamento. La strategia comunicativa va pianificata fin da subito. La comunicazione dovrà essere trasparente e positiva: il rebranding dovrà essere percepito come un passo in avanti, come un’entusiasmante occasione. In contemporanea si dovrà rassicurare il cliente sul fatto che nulla cambierà nel suo rapporto con il brand, che potrà continuare a contare su serietà e qualità. Da prevedere infine, un periodo di transizione, dopo il quale cesseranno i riferimenti alla vecchia brand identity per lasciare totale campo libero alla nuova. Affrontare un rebranding è dunque una scelta impegnativa, valida solo se fondata su solide motivazioni. Il consiglio è quello di dedicare ampio spazio allo studio e all’analisi. La fretta e la superficialità, in questo caso, possono avere pesanti conseguenze. 

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