Trovare un nome sembra facile. Più volte mi è capitato di essere in una riunione e sentirmi chiedere, by the way… ma tu che sei copy, che nome daresti a questo prodotto? Come se per un creativo possa essere la cosa più immediata del mondo. E qui ci terrei a fare una divagazione: io lavoro in un’agenzia creativa e la creatività fa parte del mio lavoro, ma creativi, fidatevi, lo siamo tutti (sì, anche tu che sei in amministrazione) …quindi abbiamo tutti la stessa possibilità di trovare la parola più bella in un contesto in cui “ciascuno dice quello che gli viene in mente”.

Il naming però è una cosa seria: può decretare il successo o l’insuccesso di un progetto. È strategia pura.

È rischioso che la ricerca si riduca ad un mero elenco di parole in brainstorming in cui ognuno si sente libero di dire quello che gli passa per la mente (inclusi amici del bar, coniugi e figli coinvolti al volo con Whatsapp). Non che tra questi non possa esserci l’intuizione del secolo, intendiamoci. Ma non funziona esattamente così.

A volte sono necessarie ricerche che durano settimane e che includono studio d’identità, semantica, fonetica, pronunciabilità e percezione della parola in una lingua diversa, aspetti legali…

Il naming richiede un vero e proprio studio ed è molto più complesso di quello che possa sembrare in apparenza. Devono essere vagliate tutte le possibili associazioni di idee che una parola evoca. Va scelto già con il pensiero ad un logo, ad un packaging. Per questo non è lavoro solo da copy, più funzioni dell’agenzia entrano in gioco.

Ad ogni modo, una volta effettuata la scelta da parte del cliente (per quanto tormentata possa essere stata) tutte le incertezze come per incanto svaniscono. Quello è il nome e tutti inizieranno a chiamarlo così, senza più chiedersi se è bello o brutto. Piuttosto sarà un prodotto di successo o meno… ed il nome avrà influito sul successo.

Non valeva quindi la pena investirci un po’?